Bruxelles: 15.000 in piazza contro le operazioni di “pulizia” ai danni dei Sans Papiers
Domenica 25 Febbraio circa 15.000 persone sono scese in piazza a Bruxelles nell’ambito della campagna “Human Wave for solidarity and Humanity”, in solidarietà con i sans papiers e per protestare contro le politiche securitarie del governo Michel. Tra le rivendicazioni, la regolarizzazione dei migranti privi di documenti, la sospensione degli accordi bilaterali di rimpatrio del Belgio, l’apertura di corridoi umanitari di migrazione, la sospensione del regolamento di Dublino ed il rispetto delle quote di ricollocazione. La manifestazione, a cui hanno aderito più di 130 realtà tra sigle sindacali, associazioni, partiti, comitati, organizzazioni, collettivi, è partita da Parc Maximilien, il luogo simbolo della resistenza dei sans-papiers.
Il Parc Maximilien si trova davanti alla sede dell’Office des étrangers, l’ufficio federale che si occupa di immigrazione, poco distante da una delle principali stazioni di Bruxelles, la Gare du Nord. Nel 2015 è diventato l’emblema del fallimento delle politiche di accoglienza belghe, riempiendosi di centinaia di profughi accampati in tenda con il sostegno di un ampio movimento cittadino di solidarietà. Nell’autunno del 2016, dopo lo smantellamento del campo di Calais, in Francia, molte persone hanno cominciato a spostarsi in Belgio, paese da cui era ancora possibile tentare la traversata verso il Regno Unito, trovando rifugio proprio a Parc Maximilien. Agitando lo spauracchio di un’altra giungla, come a Calais, il governo ha lanciato da tempo una massiccia operazione di “pulizia”. Decine le retate negli ultimi mesi, a Parc Maximilien come nei quartieri popolari, alle fermate di metro e bus, nei luoghi di aggregazione.
La persecuzione dei sans-papiers ha radici profonde in Belgio, che risalgono alla migrazione post-coloniale ed al razzismo strisciante che tuttora attraversa la società belga. Negli ultimi anni la situazione si è ulteriormente aggravata, in particolare dopo gli attentati di Parigi nel 2015 e di Bruxelles nel 2016, strumentalizzati, come prevedibile, dallo Stato belga per una stretta securitaria con la scusa della strategia anti-terrorismo. Alla fine del 2015 il governo belga ha approvato il cosiddetto “Plan Canal”, un programma antiterrorismo che consente, in alcune zone di Bruxelles limitrofe al canale della Senne, in particolare Molenbeek, l’attuazione di operazioni speciali di polizia al fine di, in teoria, scovare potenziali cellule terroristiche. Il piano, nei fatti, è stato prevalentemente utilizzato per operazioni antidroga e legate all’immigrazione irregolare, come ammesso dallo stesso governo belga pochi mesi fa. Nel solo 2016 più di 19 mila controlli sono stati effettuati dalla polizia su richiesta dell’ufficio immigrazione. Nello stesso anno, 14.670 persone hanno chiesto asilo in Belgio, un numero in calo del 63% rispetto al 2015 quando il numero di richieste era stato di 39.064. Questa brusca diminuzione è il risultato diretto della stretta securitaria nel Paese, della decisione europea di chiudere la rotta di immigrazione nei Balcani e dell’infame accordo con la Turchia sul blocco dei migranti. Un fatto rilevante in Belgio, storica meta di migrazioni da ogni parte del mondo, in particolare dall’Africa, e paese dove la popolazione non-belga è più del 20% di quella totale.
In questo contesto si inseriscono le operazioni degli ultimi mesi. La regia della cosiddetta “pulizia” è del Ministro degli Interni, Jan Jambon e del sottosegretario all’immigrazione theo Francken, entrambi esponenti della Nieuw-Vlaamse Alliantie – NVA (Alleanza Neo-Fiamminga), partito nazionalista fiammingo con spiccate tendenze di estrema destra. Entrambi sono finiti al centro di numerose polemiche sulla gestione della politica migratoria, non solamente da parte degli attivisti e delle organizzazioni più radicali ma anche dell’opinione pubblica più liberale e moderata. Più volte i due hanno esultato per le retate effettuate quotidianamente dalla polizia con metodi più o meno legittimi, rivendicando la volontà di debellare il fenomeno della clandestinità a colpi di ordine pubblico. Le principali vittime dei rastrellamenti sono Etiopi, Somali e Sudanesi. Nell’agosto del 2017 il governo belga è finito sotto pesante accusa per aver rimpatriato alcuni migranti provenienti dal Sudan, con cui è stato sottoscritto un protocollo di collaborazione tecnica per agevolare i rimpatri. Il governo di Khartum, guidato dal presidente Al Bashir, è da tempo sotto accusa alla Corte penale Internazionale per crimini contro l’umanità, genocidi e torture. Le persone rimpatriate sono state successivamente vittime di torture e soprusi. Il premier Michels si è difeso sottolineando che altri stati europei eseguono rimpatri verso il Sudan e che questa collaborazione è prevista anche a livello europeo dal processo di Khartum, avviato nel 2014, e dal fondo fiduciario d’emergenza dell’Unione Europea per l’Africa creato nel 2015. Dopo l’episodio, i rimpatri verso il Sudan dal Belgio sono stati temporaneamente sos
pesi, ed all’interno dei Cie belgi decine di persone attendono con ansia il proprio destino. Peraltro, all’interno dell’Unione Europea, solo l’Italia ha siglato un vero e proprio accordo con il regime di Khartum, che ha reso possibile, il 24 agosto 2016, l’espulsione collettiva di quaranta persone arrestate a Ventimiglia. Anche in questo caso si sono sollevate numerose polemiche, con conseguente sospensione dei rimpatri verso il Sudan da parte del governo italiano.
All’interno del Plan Canal è stato inserito anche il più longevo Plan Belfie, nato nel 2014 con l’obiettivo di smascherare le frodi fiscali nel settore del no-profit. All’interno del piano è istituito il SIRS, Service d’infomation et de recherche sociale (Servizio d’informazione e di ricerca sociale), diretto dipendente dei Ministeri del Lavoro, degli Affari Sociali e della Giustizia, che si occupa del contrasto alla frode fiscale. Questo servizio di informazione opera tramite unità di circoscrizione, presiedute da un magistrato e formate da membri dei ministeri competenti, membri della polizia federale, rappresentanti di altre istituzioni pubbliche di sicurezza sociale, servizi d’ispezione regionali. Anche in questo caso, come per il Plan Canal, misure previste per altri settori sono state utilizzate nel controllo dell’immigrazione, come accaduto lo scorso 9 febbraio, quando sette sans-papiers sono stati arrestati dopo un controllo delle unità del SIRS presso l’associazione culturale Globe Aroma, a Bruxelles, che lavora da 15 anni con artisti migranti. Tra gli arrestati anche attivisti sindacali e membri della Coordination des sans-papiers.
La dolosa mancanza di definizione precisa della competenza di questi organi di controllo sta concedendo allo Stato belga ampi margini di manovra per effettuare la “pulizia”. Il governo a guida Michel non intende fermarsi ed, anzi, sta tentando di legittimare il proprio operato anche con nuovi strumenti legali, come il disegno di legge, ad oggi in discussione al Parlamento federale, sulle visites domiciliaires. Lo scopo di questo disegno di legge è di autorizzare visite domiciliari per arrestare una persona che risiede illegalmente sul territorio belga; la visita verrebbe effettuata dalla polizia federale, da membri dell’Ufficio immigrazione su richiesta del giudice istruttore (figura che peraltro il governo belga vorrebbe eliminare con la nuova riforma dell’ordinamento giudiziario) e, se necessario, da un fabbro. La proposta sta destando l’indignazione di ampi settori dell’opinione pubblica belga, non solo per l’accanita persecuzione dei migranti ma anche per la violazione della proprietà privata e del domicilio.
Il corteo di domenica è solo l’ultimo di una serie di mobilitazioni che si sono succedute negli ultimi mesi: il 13 gennaio 10.000 persone in piazza hanno chiesto a gran voce le dimissioni di Francken; il 21 gennaio più di 3000 persone hanno formato una muro umano per opporsi ad una vasta operazione di polizia a Parc Maximilien, costringendo le forze dell’ordine a desistere. Nelle prossime settimane sono già in calendario due manifestazioni contro le violenze della polizia ed il razzismo. Mobilitazioni non certo sufficienti a far desistere il governo belga dalle sue intenzioni, coadiuvate dal supporto di un’Unione Europea sempre più attenta alla difesa dei confini della “Fortezza Europa”. Ma senza dubbio interessanti come spunti di mobilitazione e di riflessione rispetto alla conflittualità che attraverserà il tema della migrazione nel prossimo futuro ed alle nuove strategie della controparte. Le organizzazioni ufficiali, dai sindacati all’associazionismo, seppur in grado di coinvolgere numeri importanti, in Belgio come in Italia si muovono prevalentemente in uno spazio concertativo e di compatibilità con chi implementa queste politiche securitarie e sta tagliando ogni tipo di mediazione possibile. Ancora lontana è la saldatura con le migliaia di migranti, prevalentemente giovani, che tutti i giorni, in maniera spontanea e non organizzata, resistono al razzismo di Stato nei quartieri di Bruxelles e non solo, nei centri di detenzione, negli accampamenti di fortuna, nei posti di lavoro, nelle strade. La sfida, tutta da costruire, è uscire dalla concezione assistenziale della questione migrante e riuscire ad intercettare questi segmenti sociali come soggetti attivi, e non passivi, di lotta.
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