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3 punti sul 2,4%

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La manovra con intesa al 2,4% del rapporto deficit PIL apparecchia il reddito di cittadinanza. I pop corn si sono incollati alla lingua. L’apertura delle borse dirà molto della sostenibilità della misura nel contesto di uno scontro sui vincoli europei che questo governo fino a ora ha più mimato che realmente interpretato. Ma si tratta di un’altra rotta, con un suo destino incerto, che in questi mari in burrasca attraversati da più correnti contrastanti a ora non ci interessa indagare. Per chi non naviga a vista comunque qualche piccola immediata e telegrafica considerazione ci sentiamo di condividerla.

1. Si tratta/erebbe della misura più sociale e al contempo popolare adottata dallo scoppio della crisi.
Per la prima volta il partito dei responsabili, quello che ha negato le difficoltà materiali di milioni di persone viene battuto in breccia. Ma forse ha poco senso rimestare sui cadaveri. Pur con tutti i paletti che lo accompagneranno (o per alcuni snatureranno) la sola idea di un provvedimento vagamente redistributivo di reddito incontrerà il consenso attribuito all’equità e il sapore della vendetta per milioni di persone spremute da un mercato che richiede troppo lavoro per poco salario e colpevolizzate come cattivi pagatori nella spirale dell’indebitamento. Si tratta del “popolo” rimosso dal Partito Democratico: un’umanità espulsa da un precedente ciclo accumulutivo, quello della predazione post-crisi, ma che oggi è indispensabile rimercificare entro un nuovo patto integrativo.

2. Davanti a questo scossone ogni critica all’impianto workfaristico che strutturerà l’accesso al reddito di cittadinanza risulterà quanto meno fragile. Le condizioni di accesso definiranno la natura dell’integrazione costruita sia sulla garanzia della riproduzione di una forza lavoro prosciugata nelle sua autonomia e nei suoi risparmi ma anche, e soprattutto, sull’affiliazione a una comunità nazionale e operosa. Questa misura riconsegna a una dimensione di senso nella messa a lavoro un segmento, probabilmente maggioritario, di subalterni certo già oggi attivi sul mercato del lavoro più o meno sommerso, ma dispersi e frammentati in questo. C’è una promessa di riconciliazione con lo Stato, il lavoro, la vita-nonostante-queste-condizioni davanti alla quale “il reddito di cittadinanza – o incondizionato o universale che dir si voglia – che avremmo voluto” suona semplicemente come una parabola sconosciuta. Per un nuovo accordo bisogna pur seguire la banda che suona.

3. I gossip e le indiscrezioni che hanno condito questi giorni di dibattito pubblico indicano i confini di massima della comunità di consenso a venire costruita attorno all’erogazione del reddito di cittadinanza e i suoi nemici. Uno, il più manifesto, è quello che si trova oltre la linea del colore: “reddito di cittadinanza solo agli italiani”, ha ribadito Salvini pochi giorni fa. Al di là del truismo che a godere dei diritti connessi alla cittadinanza siano i soli cittadini, il potere simbolico di un’italianità contrapposta alla concorrenza degli ultimi arrivati rinnova, con ben più potenza evocativa del principio universalistico delle garanzie costituzionali uguali per tutti, lo scontro sulla redistribuzione di risorse scarse sul quale si fonda il razzismo al governo e il governo del razzismo. In altre parole non c’è reddito di cittadinanza – non c’è questo reddito di cittadinanza – se non come risarcimento di un maltolto. “Basta soldi agli immigrati”: ecco, loro hanno rubato fino a ora, dice il racconto. Il nemico è servito. L’universalità allora non può essere un punto di partenza. Neanche per i più ingenui. Si tratta invece di sondare i limiti della comunità di consenso costruita attorno a questo mito. Perché se poggia su una precisa gerarchia segregativa continuamente riprodotta – quella che si cerca ora di sancire simbolicamente attraverso le politiche sociali – esso non fa che alludere a un “popolo” ancora tutto da costruire. Confondere un processo con un soggetto vuol dire abbandonare il campo delle possibilità per quello della resistenza. Ovvero essere, in pessima compagnia, dove ci vorrebbero.

 

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